
complesso di Santa Maria Corteorlandini

Il complesso di Santa Maria Corteorlandini è uno dei monumenti più particolari di Lucca, soprattutto per la stratificazione di elementi architettonici dal Medioevo all’Ottocento.
La chiesa prese il nome dalla corte in cui sorse, denominata in antico ‘Corte Rolandinga’ in quanto vi risiedeva la famiglia dei Rolandinghi. Fu Edificata per la prima volta tra l’VIII e il IX secolo.
Nacque unita a un monastero e a uno spedale per i poveri e i pellegrini. Venne ricostruita nel 1188 probabilmente dal ‘Maestro Guido’ come riporta l’iscrizione accanto alla porta della sacrestia: «I perfidi saraceni nel 1187, sotto il segno del guerriero Saladino, si impadronirono del sepolcro, del tempio e della croce di Cristo.
Nell’anno seguente il 2 agosto, si cominciò a ricostruire dalle fondamenta questa chiesa che loda Cristo Signore, Figlio della Beata Maria, Vito, Biagio, Concordio, Ceronio e Alessio. Il maestro Guido costruì quest’opera».
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È possibile che si tratti dello stesso maestro Guido (Guidetto da Como), conosciuto a Lucca per le facciate della Cattedrale di San Martino e per la chiesa di San Michele.
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Furono realizzati tre absidi, e i fianchi della chiesa furono decorati ad archetti pensili, spartiti a due a due da lesene. Sul fianco destro fu realizzato un portale con un archivolto decorato da un fregio vegetale, ai lati del quale aggettano due leoni.
L'esecuzione presenta caratteri peculiari, rispetto a quelli della produzione cittadina della fine del XII secolo.
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Nel 1580 la chiesa venne affidata a quelli che sarebbero divenuti i Chierici Regolari della Congregazione della Madre di Dio - istituita nel 1583 dal Beato Giovanni Leonardi - che iniziarono un programma di interventi per rinnovare la chiesa nelle sue forme attuali e per creare gli ambienti conventuali.
Il dissesto statico che ne seguì fu di stimolo per un globale riassetto della chiesa -effettuato fra i primi del Seicento e il Settecento - che risulta oggi uno dei più interessanti esempi di decorazione barocca.
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La situazione dell'edificio prima dei restauri è riportata dall’abate del monastero Cesare Franciotti, nelle Cronache della Congregazione «La chiesa, la quale essendo stata per molto tempo trascurata, havea bisogno in molte cose esser accomodata: havea all’hora cinque altari, tre nella parte superiore verso levante, con alcune cappelle di Patroni particolari, e due a basso.
Tre erano le sue porte, una maggiore verso ponente e due tra i fianchi.
Era la parte del tetto ornata di volte che da pilastri stavano sostentate, i quali poi, come si dirà a suo luogo, furono mutati in altrettante colonne di marmo bianco con la giunta delli due altari a basso.
Havea un piccolo ciborio nel destro altare da levante, di pietra, molto antico, il quale fu poi tolto dai nostri e postovi, in suo luogo, nell’altar maggiore un ciborio grande alla moderna indorato.
Havea il suo coro al basso, murato all’antica, dividendo la chiesa per la sua larghezza dall’una porta di mezzo all’altra, con li cancelli di noce antichi, il qual coro in breve fu dalli nostri demolito affatto e posto tutto ad un piano il pavimento della chiesa, con aggiunger di nuovo dall’un canto all’altro della medesima larghezza di detta chiesa, avanti agli altari, una balaustrata di noce che sempre ha servito fino ad hora per mensa alla Santissima Comunione et, affinché vi fosse coro da potervi cantar il vespro nei giorni di festa e le Messe secondo le solennità et obblighi della chiesa.
Nell’istesso tempo se ne fece uno di legname in alto nell’ultima parte della chiesa, sostentato da un grosso trave che sopra li due ultimi pilastri si appoggiasse, nel qual coro s’includeva anco l’organo vecchio, che poi si vendè alla chiesa di Menabbio di Lucca, comprandone in quel cambio un altro assai migliore, che ha durato fino al presente, et accompagnandolo poi con uno simile a questo, che l’anno 1614 si comprò, et ambedue sono hora ne’ due poggioli, che al coro murato si fabbricò, nell’anno stesso che si diede l’aggiunta alla chiesa».
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L’interno:
Uno dei primi rinnovamenti fu la risistemazione del coro nel 1583, demolendo quello antico ligneo e portando così tutto il piano calpestabile della chiesa allo stesso livello.
Il coro fu fatto sopra la porta principale, ove affiancò l'organo, sull'impronta di ciò che Giovanni Leonardi aveva visto nelle chiese di Roma. I lavori furono «consigliati» dall'architetto Agostino Lupi.
Sappiamo che l’architetto lucchese oltre alla realizzazione del coro e del tabernacolo si impegnò nella edificazione delle stanze dei monaci, al di sopra della chiesa.
L’interno della fabbrica, a tre navate absidate, aveva probabilmente una copertura lignea a capanna, come la maggior parte delle chiese romaniche lucchesi e toscane.
La costruzione della volta, quindi, deve essere contestuale alla realizzazione dei locali superiori e, con ogni probabilità, spetta anch’essa ad Agostino Lupi.
Le colonne in marmo di Carrara, di ordine dorico, furono messe in opera molto dopo, nel 1604, andando a sostituire dei pilastri che, probabilmente, inglobavano le antiche colonne medievali.
L’interno, per quanto assai modificato tra Seicento e Settecento, mediante la realizzazione di un complesso apparato decorativo barocco, si presenta al contempo semplice e solenne: tre navate, divise da colonne doriche e sovrastate da un sistema di volte a crociera.
La facciata:
«L’assetto della facciata è maestoso e consta di tre campate corrispondenti alle navate a quattro livelli in altezza: il piano terreno, un mezzanino, un primo piano, un attico e il timpano: questi ultimi due non sono rivestiti in pietra.
Il registro inferiore è contraddistinto da lesene di ordine dorico, con la trabeazione composta da architrave, fregio liscio contraddistinto dalla scritta a caratteri lapidari ALMAE MATRI MARIA TRIVMPHANTI.
Inferiormente, il mezzanino è caratterizzato da un ordine a fasce e da tre finestre, una per campata, con la centrale ellittica e le altre rettangolari, tutto con una complessa cornice mistilinea.
Il secondo ordine riprende la scansione del primo, con le lesene di ordine ionico, architrave, fregio liscio in marmo Serpentino di Prato e cornicione, mentre al centro è presente una finestra a occhio che riprende, nella scansione della decorazione lapidea, giocata sul contrasto tra il bianco e il verde, quanto rappresentato da Sebastiano Serlio nel suo tempio.
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Particolare risulta l’assetto della controfacciata all'interno della chiesa: al livello superiore è presente una serliana, con colonne in marmo rosso di Garfagnana, su piedistalli, e capitelli compositi in marmo bianco, con un maestoso arco a sesto ellissoidale: questa soluzione, pressoché inedita a Lucca, è presente, con alcune varianti, anche sul prospetto della porzione del convento realizzata in aderenza alla navata sinistra della chiesa.
L’annesso convento presenta un assetto architettonico piuttosto interessante: si sviluppa con una pianta a ‘U’, con due bracci paralleli posti, rispettivamente, a contatto con la chiesa di Santa Maria Corteorlandini e lungo la via di San Giorgio, dove la fabbrica assume un aspetto decisamente ‘gesuitico’, vicino, per esempio, a quello del convento dei Gesuiti di Firenze, in piazza San Lorenzo, dovuto a Bartolomeo Ammannati.
Nel cortile che si forma tra i due bracci paralleli, è presente, al piano terra, un loggiato ad arcate, con colonne doriche in pietra serena, ulteriore esempio dell’essenzialità e della linearità che contraddistinguono questa porzione del complesso di Santa Maria Corteorlandini». (C. Ceccanti).
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Con l’Unità d’Italia i beni della chiesa furono incamerati dallo Stato. Santa Maria Corteorlandini dapprima diventò proprietà del Ministero di Grazia e Giustizia e poi del Ministero degli Interni (FEC Fondo Edifici di Culto).
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Bibliografia:
Francesca Licheri, Santa Maria Corteorlandini o Santa Maria Nera: esame di storia dell'arte, relazione, 1995/1996;
Vittorio Pascucci, L'allusivo iconografico in Santa Maria Corteorlandini, S. Marco litotipo, 1996;
Costantino Ceccanti, Agostino Lupi, architetto ‘serliano’ a Lucca, in «Luk» 27, 2021;
C. Franciotti, Cronache della Congregazione dei Chierici Regolari della Madre di Dio, a cura di Vittorio Pascucci, San Marco Litotipo, Lucca 2008, pp. 86-87