Musica e rito religioso
È raro imbattersi in cerimonie e riti religiosi in cui la musica non svolga una funzione determinante. Si possono individuare tre livelli di interazione tra musica e rituale, con un grado crescente di collaborazione tra i due fenomeni.
A un primo stadio, la musica costituisce un mero complemento della liturgia, accompagna e scandisce la cerimonia, ed è un tratto largamente caratteristico dei riti cristiani e in particolare di quello cattolico.
A un secondo livello, la musica può diventare chiave di accesso alla dimensione trascendente e cioè è caratteristico di numerose esperienze religiose, dal sufismo all’induismo, dall’Islam al buddhismo.
Musica e rituale giungono infine a un punto di quasi totale identificazione nelle pratiche di trance, possessione e sciamanesimo, in cui l’invocazione e l’evocazione della divinità seguono precise formule musicali e coreutiche e s’impone la figura del sacerdote-musicista.
Nella cultura occidentale, in cui prevalgono i primi due livelli, l’intervento della musica nel rituale è connesso al rapporto privilegiato tra suono e parola.
Nel mondo greco l’unità di poesia, musica e danza – che emerge con particolare evidenza nella struttura drammaturgica della tragedia – ha origine nelle pratiche di culto e si sviluppa per amplificare l’eloquenza del racconto mitico (secondo un processo che, sottratto alla sfera religiosa, è peraltro caratteristico anche della ‘liturgia’ dell’opera in musica).
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Nella liturgia cristiana e in particolare in quella cattolica, il legame tra parola sacra e musica è un dato fondamentale: prima il canto e in seguito gli strumenti entrano nel cerimoniale rispondendo alla necessità di amplificare (anche sul piano prettamente acustico) e far giungere la parola di Dio ai fedeli in ambienti sempre più grandi e affollati, ma in primo luogo la musica valorizza e accresce l’efficacia comunicativa e l’impatto emotivo del testo sacro.
La musica porta a emergere suggestioni e significati nascosti nel testo religioso, mentre il desiderio di far risaltare la parola sacra spinge la musica a un crescente grado di complessità. È infatti proprio all’interno delle pratiche cultuali che si sviluppano le prime forme di polifonia e l’esigenza conseguente di fermare per iscritto forme sonore sempre più complesse, determinante per la nascita della notazione musicale.
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Le relazioni tra musica e religione mutarono radicalmente a partire dalla seconda metà del XVII secolo. In Occidente infatti – a differenza che in altre culture, dove esperienza musicale e spirituale presentano punti di contatto maggiori – aveva sin lì prevalso l’idea che la musica e le altre arti fossero un mero complemento della liturgia, significativo certo ma non essenziale alla pratica del culto. L’estetica del Romanticismo operò un decisivo ribaltamento, secolarizzando la religione e sacralizzando la musica.
Ciò non significa che nell’Ottocento non si scriva più musica religiosa, che sia destinata all’uso liturgico oppure solamente basata sui testi sacri (è sufficiente qui solo far cenno alla Missa Solemnis di Beethoven); un afflato spirituale meno confessionale tuttavia anima anche opere che nulla hanno a che vedere con tale contesto e che trovano posto in una nuova cornice rituale, quella del concerto.
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Bibliografia:
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Enciclopedia della musica, diretta da Jean-Jacques Nattiez, vol. III, Musica e culture, Torino, Einaudi, 2003, pp. 279-501 (Parte terza. Musica e religione);
Girolamo Garofalo (a cura di), Musica e religione, Roma, Squilibri, 2006; Susanna Pasticci, Musica e religione, in Enciclopedia della musica, diretta da Jean-Jacques Nattiez, vol. I, ‘Il Novecento’, Torino, Einaudi, 2001, pp. 420-443;
Introduzione on line al pensiero e alle pratiche della musica, http://www3.unisi.it/ricerca/prog/musica/Index.htm;
Cathopedia, l’enciclopedia cattolica https://it.cathopedia.org/wiki/Musica_sacra;
Tra musica e spiritualità: Latitudini e altre parole https://rosariobocchino.wordpress.com/2017/04/22/tra-musica-e-spiritualita/;